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Il valore etico del tempo: tra il “già fatto” e il “da farsi”

In un’epoca dove tutto è simultaneo, “darsi tempo” può essere un atto rivoluzionario. Perché solo nello spazio tra progetto e azione è possibile immaginare un cambiamento e la forza per ripartire

“Festina lente”, ovvero “Affrettati lentamente”. Quando nel 1985, durante una delle sue celebri “Lezioni Americane”, Italo Calvino citò questo antico motto latino - già emblema secoli fa dell'editore umanista Manuzio - per parlare della natura paradossale del tempo, il pubblico di Harvard non poté che restarne colpito.

Velocità e lentezza, stasi e trasformazione: se questa massima continua ad affascinare è perché ci ricorda non solo che il tempo è qualcosa di relativo, ma che il suo uso è una questione etica, un modo di intendere e portare avanti l’azione. E prendersene responsabilità. 

Così, un intervallo minimo può durare un’infinità, se occupato da un’idea possibile, un’intenzione genuina, una volontà reale di progettare e cambiare. Ed è questo paradosso al centro della nuova edizione dell’Oscar Pomilio Blumm Forum, dedicata al “frattempo”.

Il frattempo è lo spazio tra il dire e il fare, tra la teoria e la realizzazione. È lo spazio in cui l’uomo immagina ciò che sta per realizzare, senza sapere se sarà qualcosa di grandioso, oppure nulla. È uno spazio di possibilità e progettualità, dove il pensiero prolifera, spazia e produce, consentendoci di “riempire l’inesorabile minuto”, come scriveva Kipling, di 60 secondi degni di essere vissuti, che siano i 3 secondi in cui si gioca un record mondiale o il presente infinito in cui le nuove tecnologie ci costringono a vivere.

In un mondo in cui il presente opprime e schiaccia, dove tutto è simultaneo e istantaneo, “darsi tempo” diventa così un atto etico e persino rivoluzionario, una scelta per azzerare e ripartire, ricostruendo il futuro con nuova forza e fiducia.

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