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Il futuro come bene pubblico

Raccogliere le “visioni di futuro” individuali e portarle nell’arena pubblica, per garantire una reale tutela della diversità culturale. Il nuovo ruolo delle istituzioni di fronte alle sfide del presente

Pochi mesi fa ICS ha dato parola al “primo ministro del Futuro” d’Europa. Il tema del futuro ritorna, ora, con ancora più forza, nella nostra intervista ad Arjun Appadurai, uno dei più originali pensatori del presente. E prende la forma del sogno e della speranza.

Non è però un discorso idealistico, quello di Appadurai, ma molto logico e concreto. Se la realtà sociale è sempre frutto (imprevedibile) di aspirazioni individuali e le aspirazioni nascono da diverse “visioni di futuro”, è sciocco e sopratutto inutile ridurle o limitarle in qualsiasi modo.

Proprio come la biodiversità, la diversità culturale va coltivata, perché non posso sapere, oggi, quale desiderio avrò domani. E potrei trovarmi a sopprimere, in nome di un presente inevitabilmente miope, proprio quella “visione” che domani saprà rispondere a bisogni ancora di là da venire.

Compito delle istituzioni è allora garantire a tutte le “immagini di futuro” – a tutti i sogni, tutte le speranze – una pari dignità. Garantire a tutti un “diritto all’immaginazione” e all’aspirazione individuale, ovvero la possibilità di portare la propria visione, “dal basso”, in un arena pubblica di negoziazione, dove possa trasformarsi in decisione e prospettiva condivisa. Perché il futuro resta un bene pubblico, da immaginare e disegnare insieme

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